Dicono di noi

Furio Colombo su Il Fatto Quotidiano di martedì 18 maggio 2010, ha scritto questa recensione al libro "Il Ponte sullo Stretto. Rischi, dubbi, danni e verità nascoste".

Grandi opere, fumo negli occhi

Accade che un testo rigorosamente tecnico e fondato sulla competenza e pratica scientifica diventi manifesto politico o almeno documento politico di un'epoca. È accaduto con il volume di interventi e documenti appena pubblicato "Il Ponte sullo Stretto. Rischi, dubbi, danni e verità nascoste" a cura di Carlo Mancosu, che ne è anche l'editore.

Il protagonista di questa serie di intenenti è la grande opera. O meglio è indispensabile rivedere, ai nostri giorni, il concetto ambiguo e glorioso di grande opera per ambientare il libro di cui sto parlando. Esiste una sorta di convenzioni non dette. Quando si dice grande opera (nel linguaggio delle opere pubbliche) si intende una serie più o meno scoperta, più o meno percepita dall'opinione pubblica, di significati fra cui si potrà scegliere nei vari contesti di annuncio, di raccomandazione, di celebrazione preventiva. Un primo significato riguarda la novità del progetto. Il progetto è grande perché prima d'ora, senza l'ideazione ma anche l'audacia e la capacità di impresa, un'opera così non avrebbe potuto esistere.

In questa fase interviene un certo tecnicismo e l'impegno a superare le obiezioni in quanto generate (le obiezioni) da visioni superate, da vecchia cultura. Quest'opera è grande perché ora siamo tecnicamente in grado di farla e l'omissione sarebbe un delitto e un vuoto imperdonabile.

Un secondo significato è la spesa. Il fatto che la spesa sia immensa è, allo stesso tempo. una garanzia dell'assoluta novità e audacia dell'opera, del polso e visione che ha un governo che se ne assume la responsabilità. E la prova ultima che il governo delle grandi opere "sta facendo bene". Poiché, anche in periodo di euforia, le grandi cifre spaventano, occorre creare due contesti che evitino sbandate di opinione pubblica. Il primo è che il finanziamento sarà privato o in parte privato. La parola è magica e bisogna dirla anche se non è vera e non si materializzerà mai. Il secondo è la pioggia di incredibili benefici che l'opera genererà e che cambierà il volto del Paese che realizza la grande opera, sia sul luogo sia lontano, nel mondo.

Infine, l'argomento più caro ai venditori di grandi opere: creano lavoro. Circoleranno numeri capaci di fronteggiare (psicologicamente se non economicamente) l'impatto del costo immenso di cui si sta discutendo.

Tutto ciò è, per esempio, il Ponte sullo Stretto di Messina. Di esso, per anni, il governo Berlusconi ha dato una rappresentazione intensa e ripetuta di simulazione similvera al computer. Corrono treni superveloci su un ponte più lungo e più alto di ogni ponte al mondo. E nel percorso stretto di questo trailer immaginato dovrebbero disciogliersi tutte le obiezioni.

Per promuovere un'opera gigantesca dai costi incerti (per difetto) e che continua a restare appoggiata senza prove e verifiche su un ambiente naturale che è il più instabile al mondo (la questione sismica, la questione delle frane) Berlusconi si è ricordato delle tecniche di vendita dell'imprenditore edile (Milano 2) e presenta "un appartamento modello". La grazia cinematografica e sconnessa dalla realtà di questo modello dovrebbe liquidare, anzi prevenire, le cupe obiezioni del malaugurio. Facile se le obiezioni sono politiche. Meno facile se sono una raccolta fitta, motivata, rigorosamente documentata del lavoro di esperti.

È il libro "Il ponte sullo stretto". Una grande giuria di esperti, che non discute di politica, non guarda al tipo di governo che esige la grande opera come estremo tributo a se stesso, come macchina operativa destinata ad essere punto di partenza di mille articolazioni capaci di coinvolgere tutti, dal grande appalto al piccolo indotto al privilegio del posto di lavoro. Questa giuria, riunita da Carlo Mancosu, per dare vita al libro documentato sul ponte, parte dai punti di terra in cui dovrebbero essere piantati, con un lavoro di generazioni, i pilastri. E ritorna alla terra che dovrebbe sostenere l'immensa opera finita e beneficiarne. Scarta ogni visione che non sia tecnica e ingegneristica, evita di pensar male (la pianta rampicante del crimine organizzato) e di pensar bene (la gloria dell'opera, la meraviglia del mondo).

E si presenta come una grande obiezione di coscienza di coloro che sanno verso un'opera pensata per il teatro della politica piuttosto che per la realtà fisica in cui dovrebbe collocarsi il gigante. In altre parole, niente in questo libro inchiesta sul "ponte sullo stretto" è ispirato a pregiudizio o a polemica politica. Il lavoro parte da ciò che gli autori dell'appartamento modello (del ponte-modello) ti fanno sapere, dai loro annunci e preannunci, per procedere a una ispezione della realtà. Il verdetto della competente e specialistica giuria sul simil-ponte-grande-opera-di-regime, non affronta l'idea di un ponte, ma di questo ponte, al modo in cui è stato concepito e diffuso l'irrealistico pensiero-propaganda di esso. Non dice che tutti i ponti sullo Stretto sono impossibili, fermo restando l'estrema difficoltà dell'opera - dice che "questo ponte non c'è e non ci sarà".

E sarà bene tenersi cara la perfetta simulazione fatta circolare in luogo di un progetto vero (inclusa ancora e ancora come finto documento in innumerevoli telegiornali) per un bel film di fantascienza.

Meglio: di fantapolitica.

Nel libro "Il ponte sullo stretto" di Carlo Mancosu, sotto le mentite spoglie di un tomo tecnico, si disvela la lettura politica di un'epoca in cui apparenza e proclami incidono più della realtà.